Italiano (Italian) Español (Spanish) English Français (French)

News

 

Scienza e Tecnologia - Angelo Baracca

Costruire, insieme, le basi e il metodo di una scienza nuova, per una giustizia planetaria e ambientale

Angelo Baracca

 

«Più che salvare il sistema economico-finanziario in crisi, è importante salvare la vita umana e proteggere la vitalità del pianeta. La scienza deve servire per questo obiettivo superiore»
[Leonardo Boff, il manifesto, 2 ottobre 2010: ho sostituito la parola scienza a economia usata da Boff]

Introduzione: la sfida che ci viene posta

L’impostazione di questo convegno è una vera sfida. Una sfida opportuna, perché è necessario coniugare le considerazioni critiche sull’evoluzione e le prospettive inquietanti del mondo in cui viviamo con uno sforzo costruttivo, per individuare, sia pure (e inevitabilmente) in termini problematici, proposte e soluzioni positive. D’altra parte la crisi che stiamo vivendo è talmente grave, profonda, epocale, che non possiamo limitarci all’analisi e alla denuncia: è in gioco il futuro dell’umanità, e dipende solo da noi. Io cercherò di confrontarmi con questa sfida nel modo più generale, anche se le mie considerazioni saranno per questo tanto più problematiche.

Sono consapevole anche dei rischi che si corrono quando si estrapolano considerazioni generali al futuro. So di avventurarmi su un crinale stretto e impervio, solcato da ulteriori dirupi. Da un lato – quello che guarda soprattutto all’evoluzione dei ritrovati tecnico scientifici e dei meccanismi sempre più perversi del potere – è facile cadere nella “fantascienza”, intesa nei termini più nobili: le forze che si muovono attorno a (e su di) noi sono talmente potenti, il ritmo del cambiamento (soprattutto tecnico scientifico) è talmente incalzante e incontrollabile, che è difficile sottrarsi alla tentazione di estrapolare – magari ingigantire (ma anche sminuire, comunque deformare) – alcune tendenze per prevedere scenari apocalittici di un mondo disumanizzato, dotato di strumenti di controllo sempre più potenti ed invasivi. Dal lato opposto – quello dei movimenti di opposizione e della crescita della sensibilità sociale e della comunicazione – vedo (e mi sembra di riscontrare) anche il rischio di sopravvalutare invece le capacità di resistenza e opposizione, e le esperienze concrete di scelte e organizzazioni di vita alternative.

Credo del resto che sia impossibile prescindere, per una considerazione seria, ma concreta, su una “Nuova Civiltà”, dalla Civiltà (o Inciviltà) attuale, dagli sviluppi e dalle tendenze in atto, che spesso sono celate all’osservazione comune da una vera barriera (politica, tecnica, ecc.). Per cui ritengo inevitabile avventurarmi su quell’impervio crinale.

Scienza e tecnologia contro l’Uomo e la Natura?

Mi sembra che siano soprattutto due i piani della situazione attuale e delle sue tendenze da cui partire: e che già riflettono l’ambivalenza a cui accennavo.

Il primo riguarda la contraddizione tra le opportunità offerte dallo sviluppo di mezzi e sistemi di comunicazione sempre più potenti e globali, e la natura sempre più repressiva, brutale e pervasiva delle nostre società (che pure si avvale di quegli stessi mezzi di comunicazione e di controllo): l’spetto più eclatante è costituito dalle guerre, ma queste non sono che i rami, visibili, di una pianta le cui radici penetrano in modi più subdoli, nei meccanismi profondi della società.. Su questo terreno non mi addentrerò perché è più lontano dalle mie competenze.

Il secondo piano riguarda la natura e la valenza degli sviluppi tecnico scientifici: i quali forniscono indubbiamente mezzi e opportunità sconosciuti nel passato, ma implicano anche sconvolgimenti dei processi e delle risorse naturali, con conseguenze imprevedibili e incontrollabili (per i ritmi travolgenti di innovazione, e per i colossali interessi in gioco) sull’ambiente, riferito anche ai nostri processi vitali fondamentali, non separabili dall’ambiente esterno. Questo è il campo che maggiormente vorrei discutere: ma per i limiti oggettivi posti da questi interventi, devo rinviare all’intervento che presentai al Simposio sulla non violenza del 24-25 aprile 2009.

Devo però ricordare almeno l’aspetto forse più delicato e trascurato, ma che a mio avviso è il più importante e deleterio. Le prospettive più spaventose, e subdole, riguardano a mio avviso il campo bio-medico-tecnologico, i cui sviluppi da un lato coinvolgono gli interessi più potenti (si parla di Impero Biotech, Big-Pharma), ma dall’altro sconvolgono i processi biologici fondamentali della nostra vita e della biosfera, con conseguenze imprevedibili e incontrollabili, ma sicuramente epocali! È un peccato che le circostanze abbiano impedito la presenza oggi del Dott. Ernesto Bugio, che di questi temi è osservatore profondo e preparato. In questo campo svanisce lo spartiacque tra sviluppi fondamentali e medici ed applicazioni militari (guerra biologica):

«Il vero pericolo oggi è che una guerra biologica globale deflagri senza che si riesca a impedirla, piuttosto che per la deliberata volontà di qualcuno. … [É impossibile] distinguere tra usi difensivi e offensivi delle ricerche sui microrganismi e, almeno a partire dagli anni ’80, con gli enormi interessi economici collegati al nuovo settore delle biotecnologie genetiche[1].»[2]

La grande “biotecnologa pentita” Mae Wan Ho ha sottolineato con forza

«… i pericoli per l’intera biosfera, non derivano da un cattivo uso del biotech, e cioè dal bioterrorismo e dalle guerre biologiche, ma da una tecnologia che infrange deliberatamente le barriere specie-specifiche che la Natura ha costruito a difesa delle singole specie viventi. … una vera guerra non dichiarata all’intera biosfera. Un pericolo immenso, forse il maggiore pericolo mai corso dall’umanità e del tutto non prevedibile …

… Nessuno può oggi affermare con sicurezza che gli effetti e i prodotti delle biotecnologie con finalità sulla carta “buone” non si rivelino, specie nel medio-lungo periodo, altrettanto pericolose di quelle con finalità “cattive”» [cit. in Bugio2]

Le ricerche più “avanzate” puntano alla fabbricazione e introduzione massiccia di organismi artificiali, che rischiano di sconvolgere un processo bio-evolutivo antico di miliardi di anni, ma giudicato dagli scienziati “apprendisti stregoni” «imperfetto perché privo di intelligenza» (sic!).

In questa logica perversa, ancora, abbiamo sferrato una “guerra ai batteri e virus” (si pensi alla criminale pubblicità sulla “igiene assoluta”!), che è un controsenso perché i virus sono la base della vita (sembra che costituiscano circa 20 kg del nostro organismo), e che siamo destinati a perdere: ma ogni sconfitta si tradurrà nell’introduzione di nuove innovazioni “scientifiche” e soprattutto in ulteriori profitti. Basti pensare alla cosiddetta “resistenza agli antibiotici”, che nasconde il fatto fondamentale che gli antibiotici sono fattori di comunicazione fra le cellule esistenti in natura, per cui gli sconvolgimenti che stiamo introducendo sono deleteri, incogniti e incontrollabili.

Altra implicazione di queste pratiche è il pericolo di una pandemia epocale, lanciato con allarmismi strumentali, per gli interessi delle industrie miliardarie produttrici di vaccini (sottoponendo ad ulteriore stress, quindi vulnerabilità, i sistemi immunitari), ma che ormai sembra solo questione di probabilità (quindi di tempo) in una forma che allora difficilmente potrà venire fermata e rischia di causare milioni di vittime!

Il quadro è ovviamente molto più complesso, si dovrebbero esaminare molti altri aspetti.

Alcune difficoltà per una linea di resistenza

Partire da questo quadro, dalla sua gravità, mi sembra necessario per cercare di costruire una linea collettiva di resistenza, e soprattutto per cercare di invertire la tendenza, di imporre una nuova linea collettiva – potrei dire l’«interesse comune» – finché siamo in tempo (almeno per limitare i danni).

Credo sia necessario, ancora, avere chiare le difficoltà di fondo.

La prima è costituita a mio avviso dall’ignoranza e dall’indifferenza, derivanti la prima dal monopolio dell’informazione e dalla sua mistificazione da parte degli interessi forti (nonché dal degrado imposto all’istruzione pubblica e libera), la seconda dalla logica dell’interesse privato e dalla corruzione imposte da questo sistema, il cui messaggio, neanche tanto nascosto, è: «fate il vostro interesse, senza scrupoli, pensate solo a fare soldi»!

Vedo però un’ulteriore difficoltà nel fatto che la critica alla Scienza prende spesso la forma di atteggiamenti completamente anti scientifici: sia in forma di posizioni diciamo “mistiche”, sia come negazione tout court della scienza. Posizioni legittime, intendiamoci, non nuove (si pensi al “luddismo” ottocentesco), ed anche spiegabili, ma che a mio avviso non portano da nessuna parte. Questa scienza, e gli scienziati, sono prodotti delle logiche e dei rapporti di sfruttamento dominanti, e non mi sembra pensabile poterli fermare: per cui non si può eludere il problema di fondo del cambiamento di questi processi e del rovesciamento di queste logiche. La negazione assoluta mi sembra una manifestazione di debolezza, non di forza.

Va però riconosciuto ed analizzato un punto fondamentale, che delle due tendenze precedenti può essere una cerniera: si tratta del potere costituito dal “sapere” scientifico tecnologico (know how). Sia perché chi detiene il potere rinvia sempre, e mistifica, la “soluzione” dei problemi ad un piano tecnologico (si pensi alle grandi opere, come ai programmi nucleari); sia perché gli scienziati dal canto loro si pongono come una casta depositaria del “sapere”, del quale fanno uno strumento di potere, ponendosi come complici delle classi e delle tendenze dominanti.

Un esempio per tutti. La logica economicista, fondata sul PIL e sul concetto quantitativo di sviluppo, condiziona l’opinione mistificando proiezioni “scientifiche” di presunti “fabbisogni” (indotti) ai prossimi decenni, anziché partire dai bisogni reali di un buen vivir, che non sarebbe evidentemente una buona fonte di profitti! Basta pensare che la proclamata eliminazione della fame nel mondo (c’è un bisogno maggiore?) non è mai un obiettivo prioritario, ma subordinato agli interessi più forti, e di conseguenza assolutamente marginale e velleitario.

Invertire la tendenza, rovesciare la logica

Il punto di fondo consiste a mio avviso nel diffondere la consapevolezza di questi problemi e nel costruire una volontà collettiva, che sia in grado di imporre una logica e una pratica del «bene comune» (comune non solo al genere umano, ma al ri-equilibrio dell’intero contesto ambientale, che stiamo sconvolgendo in modo irreversibile, ma che è il fondamento e la condizione della nostra stessa esistenza).

Non mancano aspetti incoraggianti.

Se da un lato il potenziale (anche scientifico) per il controllo delle masse non è stato mai così grande, i mezzi di comunicazione globale, in tempo reale, e d’informazione non sono mai stati così potenti: tutti possono sapere tutto! Il problema di fondo mi sembra che chi detiene il potere è molto più bravo e più forte della collettività nel controllare, ed usare a proprio vantaggio, questi mezzi e queste potenzialità (nonché l’ignoranza di grandi masse). Gli esempi sono innumerevoli, ma se pensiamo alle mistificazioni più eclatanti, quando Bush e Blair mentivano spudoratamente sulle armi di distruzioni di massa dell’Iraq, nemmeno il gigantesco movimento per la pace riuscì a far passare questa consapevolezza; e neanche le plateali contraddizioni e inconsistenze della versione ufficiale dell’11/9 sono percepite dalla maggioranza della gente. Qui interviene infatti la prima delle difficoltà che citavo: la maggioranza preferisce adagiarsi che attivarsi, spesso finge di credere per non avere problemi, o è rassegnata alla forza del potere. Preferisce farsi prendere in giro dalle sceneggiate sugli “Obiettivi del Millennio” e l’eliminazione della fame nel mondo, quando si spendono cifre astronomiche – inutili e mortifere – come 1.500 miliardi di $ di spese militari mondiali, e 3.000 miliardi di $ per salvare le banche che ci hanno portato alla rovina (ma fanno affari d’oro).

Anche per questo, un secondo punto a favore è che non è tutto da inventare. Proposte e strade alternative esistono, anche se devono venire adeguate e sviluppate, ma possono fornire la base su cui far leva per rovesciare la situazione. Basti pensare alle rivendicazioni di molte popolazioni indigene dell’America Latina, le quali non sono affatto domate dopo mezzo millennio di dominazione e di sterminio, e rivendicano non solo i diritti – innegabili, contro qualsiasi documento di proprietà imposto dalla forza – ma le loro concezioni e pratiche di rapporto con la Terra, l’antica Pacha Mama, diametralmente opposte al brutale sfruttamento. Non possiamo più accettare di vivere nelle nostre società del benessere (per quanto eroso dalla crisi, e distorto dalle ingiustizie sociali), basato sullo sconsiderato sfruttamento ed esproprio delle risorse e delle ricchezze di intere popolazioni!

Ma già su questo punto: siamo capaci, noi per primi, di questo salto epocale? Siamo consapevoli di quello che implicherebbe la rinuncia tout court al petrolio e alle materie prime letteralmente saccheggiate a chi le “possiede”?! Già questa consapevolezza indicherebbe un radicale cambiamento, un vero rovesciamento, dei nostri stili di vita: niente più trasporto privato, riduzione degli spostamenti aerei alle strette necessità (e di tanti mezzi di comunicazione, sconsideratamente diffusi ed abusati per logiche di profitto). Cioè limitare le opportunità offerte dalla tecnologia all’effettiva utilità e necessità, anziché soddisfare bisogni imposti, che poi ci vengono presentati come “comodità”. Siamo capaci di percepire ed assimilare noi stessi la consapevolezza che una società fondata su questi mezzi per fini di profitto (non una società che utilizza queste opportunità per il bene comune) non ci rende la vita migliore, ma invece più alienata, sempre più separata e contrapposta alla Natura, che è la base e la sostanza della nostra stessa natura? Voglio precisare che non mi riferisco qui a scelte individuali, delle quali non nego la legittimità e il valore, ma che (a mio avviso) rimangono elitarie, limitate (non sottraggono alla nocività del sistema) e non innescano il cambiamento collettivo.

Io sinceramente non sono in grado di proporre strade concrete. Credo che di fronte ad una sfida così alta sia necessario una ricerca comune, una sperimentazione sociale, che certo non parte da zero: sono innumerevoli le esperienze di base che cercano di costruire realtà e soluzioni alternative, radicate, condivise. Finora non hanno prodotto una generalizzazione, e questo dimostra quanto sia forte il potere dominante, e quanto sia arduo e complesso il compito.

Vorrei citare brevemente un esempio importante, che si ricollega agli esempi che facevo sulla biologia e la medicina. Oggi domina nella classe medica un paradigma genetico di molte infermità, per primo il cancro, funzionale agli interessi dell’Impero BioTech. In contrapposizione si sta delineando, con basi e prove sempre più solide, un diverso paradigma, che sostiene invece il ruolo dei fattori ambientali nell’origine di molte malattie. La forza di questo paradigma è confermata dall’attenzione crescente di autorevoli organi d’informazione (New York Times, Time), ma rimane fortissima la resistenza della classe medica. Immaginate quali rovesciamenti dirompenti porterebbe questo nuovo paradigma da un lato nel trasformare il rapporto medico-paziente e ne ridimensionare il potere delle industrie dei farmaci, dall’altro nel saldare le lotte per la difesa dell’ambiente e quelle per la difesa della salute, sensibilizzando e coinvolgendo grandi masse oggi ancora poco sensibili a questi temi.

Non è certo un caso che il mondo moderno sia dominato ovunque dai meccanismi economici del neoliberismo e da ristrette èlites: sul piano storico hanno vinto. Ed anche la Scienza moderna è il prodotto della società occidentale ed ha introiettato la logica di sfruttamento delle risorse e del lavoro umano per fini di profitto. Una logica ed una struttura diverse, alternative, possono diffondersi, e in prospettiva imporsi, solo se in primo luogo diventano patrimonio consapevole della maggioranza (perché non vogliamo più il prevalere con la forza), ma in secondo luogo riescono a costruire contestualmente le strutture necessarie a livello di tutta la società: strutture per le quali non trovo un termine diverso da potere, purché abbiamo chiaro che dovrà essere un potere basato non più sulla forza e la prevaricazione, ma piuttosto sulla condivisione e sul bene comune; un potere fondato su un controllo e una legittimazione dal basso, collettivi, per i quali nessuno ha ancora trovato strade concrete, o risolutive. Solo percorrendo questo cammino sarà possibile fare in modo che i bisogni collettivi, il rispetto e lo sviluppo dell’individuo, la sua salute e il suo equilibrio, il recupero di un rapporto equilibrato con la natura e le sue risorse, tutto ciò si traduca in conoscenze nuove, in strumenti scientifici e tecnici che saranno senza dubbio diversi, capaci di adeguarsi ai meccanismi e ai processi della natura e ai veri equilibri umani, anziché forzarli per sfruttarli con la presunzione degli Apprendisti Stregoni.



[1] Susan Wright, Biological Warfare and Disarmament: New Problems/New Perspectives,Rowman & Littlefield, 2002.
[2] Ernesto Burgio, Bioterrorismo e Impero Biotech, “L’Ernesto online”, 01/07/2003, http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=4822#.